Le colture agrarie sono costantemente esposte all’azione avversa di patogeni fungini che vivono nel suolo: sono i cosiddetti patogeni tellurici, che causano diverse malattie dell’apparato radicale e del colletto e che sono una minaccia costante della produttività e dello stato di salute dell’intero agroecosistema. Questi microorganismi dannosi possono diventare endemici e di difficile eradicazione allorquando il suolo è soggetto ad intensivo sfruttamento, eccesso di lavorazione meccanica, coltivazione delle medesime specie e non apporto di sostanza organica di qualità, tutte condizioni che si verificano purtroppo nelle produzioni di baby leaf da quarta gamma in coltura protetta e che determinano depauperamento delle risorse nutrizionali, decadimento della struttura e del contenuto di sostanza organica nei suoli ed accumulo di composti allelopatici, oltre che dei propaguli del patogeno. Tale percorso è ben avviato verso l’instaurarsi della cosiddetta sindrome della “stanchezza del terreno” il cui effetto evidente è misurato nel calo delle rese e nella recrudescenza di alcune patologie soil-borne, come ad esempio la moria delle giovani plantule all’emergenza e tracheofusariosi e marciumi radicali in post emergenza. È necessario invertire questa tendenza introducendo strategie di mitigazione degli impatti della coltura intensiva e di recupero sostanziale della soppressività naturale dei suoli, cercando di ripristinare i meccanismi agroecologici che ne sono alla base. La soppressività naturale è una proprietà innata dei suoli “indisturbati”, ed è sostenuta dalla biodiversità dei micro e mesoorganismi che proliferano in presenza di un ricco e variegato pool di sostanza organica che ne alimenta i cicli biogeochimici e ne sostiene un dinamico e delicato equilibrio nei rapporti ecologici, mantenendo così le popolazioni patogene sotto livelli compatibili con la vita vegetale. In serra, il rapido susseguirsi di cicli monocolturali, destrutturazione del suolo, valori elevati di umidità e temperatura, favorendo la mineralizzazione della preziosa componente organica costituita da composti a base di carbonio, determinano una graduale riduzione della fertilità microbiologica del suolo e della soppressività naturale. Per incrementare tale proprietà benefica dei suoli è pertanto necessario, da un lato, reintegrare la riserva di carbonio tellurico che è andata via via scemando attraverso l’incorporazione nel suolo di preziosi prodotti organici come il compost di qualità e, dall’altro, aiutare la ricostituzione di comunità microbiche variegate e persistenti, per esempio anche attraverso la somministrazione di bioinoculi di microorganismi utili, in grado di colonizzare l’ambiente tellurico ed esercitare un’ azione antagonistica nei riguardi delle popolazioni dei patogeni. Il compost è un prodotto solido organico ottenuto dalla trasformazione di sostanza organica fresca non decomposta (ad es. residui colturali, scarti agro-industriali, separato solido zootecnico, ecc.) attraverso il processo di compostaggio, in una sostanza più matura e di qualità superiore, in grado di resistere nel suolo e di realizzare i propri effetti benefici più a lungo. Il compost può essere incorporato al suolo a dosi agronomiche determinate, innanzitutto, sulla base degli apporti in elementi, all’inizio del ciclo, in concomitanza delle lavorazioni di preparazione che interessano lo strato esplorato dalle radici. La somministrazione di un pool di microorganismi utili in combinazione al compost, magari reiterata per fertirrigazione anche in altri momenti del ciclo colturale, potrebbe concorrere ad accorciare i tempi di recupero della struttura microbica biodiversificata ed antagonista nel suolo e aumentare, in tal modo, il grado di protezione delle piante. È importante definire su tale prospettiva un modello di gestione organica del suolo che sia duraturo nel tempo e che consenta di avere un incremento netto, negli anni, del tenore di sostanza organica del suolo in grado di migliorarne la capacità tampone e la resilienza alla pratica agricola. Al fine di abbattere i livelli di inoculo dei patogeni presenti nel suolo, si fa ricorso alla solarizzazione mediante copertura della superficie con film plastico ed intrappolamento dell’energia solare che, sottoforma di calore, estrinseca attività biocida, purtroppo indiscriminata, nei primi strati del profilo. Sovente, la pratica della solarizzazione viene combinata all’ammendamento con compost oppure al sovescio di essenze erbacee che liberano composti volatili ad azione antifungina, associando all’effetto del calore anche quello biofumigante. Tali pratiche biogeodisinfettanti hanno effetto abbattente anche sulla microflora utile, ed è bene comunque prevedere lunghe pause tra due applicazioni successive, in modo da consentirne il recupero e l’assestamento in termini di popolazione. La gestione organica dei suoli in associazione con pratiche favorevoli allo sviluppo della microflora utile, rappresenta una valida strategia di recupero della qualità generale dei suoli e ripristino della soppressività, con vantaggi in termini di produttività e minore dipendenza da altri input esterni per la gestione fitopatologica.
Catello Pane e Massimo Zaccardelli
CREA-Cerntro di ricerca Orticoltura e Florovivaismo. Via Cavalleggeri 25, 84098 Pontecagnano (SA). E-mail: massimo.zaccardelli@crea.gov.it
Progetto FERTISELE” Gestione sostenibile della fertilità dei suoli della Piana del Se/e per la produzione destinata alla IV gamma in coltura protetta mediante ammendanti organici di qualità provenienti dal comparto zootecnico locale”, CUP: B78H19005100009, nell’ambito della Misura 16, Tipologia di intervento 16.1.1- AZIONE 2 – PSR CAMPANIA 2014-2020 – “Sostegno per costituzione e funzionamento dei GO del PEI in materia di produttività e sostenibilità dell’agricoltura”
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